venerdì 3 giugno 2016

IL BANDITO, regia di Alberto Lattuada, 1946.


L'8 Giugno al Cineteatro Adriatico, ore 21.00, Il Bandito di Alberto Lattuada (1946).
Il Bandito è un film fondamentale che le giovani generazioni devono vedere, per conoscere l’Italia dell’immediato dopoguerra. Una nazione pervasa dalla distruzione totale, tangibile nelle città, nell’economia ma soprattutto nello spirito.  Non si potrà mai apprezzare l’Italia attuale se non si conosce il livello di bassezza in cui eravamo caduti a seguito della seconda guerra mondiale. In questo contesto si intreccia una storia cruda ma bella allo stesso tempo, interpretata in maniera eccezionale da Anna Magnani ed Amedeo Nazzari.Ma l’Italia e gli italiani seppero ripartire di slancio, forse consapevoli che dopo tanta devastazione peggio non  poteva essere. E così era la situazione a Vieste negli anni dell’immediato dopoguerra. Non avevamo avuto i bombardamenti delle città del nord ma eravamo distrutti dentro, demoralizzati fino al midollo. Questo film ha rappresentato per Vieste la rinascita di un paese che voleva riprendere la vita quotidiana di un tempo, laboriosa e spensierata. E una buona mano l’ha data il Cinema. I più anziani ricorderanno il CinemaArena di Ernestino Medina al Corso Lorenzo Fazzini. Proprio lì in uno spiazzo di “rena” battuta furono collocate le sedie e la macchina per proiettare il primo film dell’era repubblicana, il Bandito. Era il 10 giugno del 1947, la macchina da proiezione fu installata in un locale di Via Cesare Battisti in direzione dello schermo piazzato verso Corso Fazzini, dietro la macchina c’ero io alla prima esperienza di proiezionista.  [Alberto Valerio – 16 maggio 2016 – Vieste]


Alberto Lattuada è nato a Vaprio d’Adda il 14 novembre 1914  e deceduto a Orvieto il 3 luglio 2005. Ha vissuto la sua infanzia tra la campagna lombarda e Milano. Incominciò a frequentare il mondo del cinema già durante il periodo universitario. Il padre Felice, affermato compositore,  gli disse: “non sarai mai un grande regista se non termini gli studi di Architettura e non superi l’esame di Geometria” (ultimo esame che lo separava dalla laurea). E così superò Geometria, prese la laurea per accontentare  il padre e si buttò a capo fitto nel cinema. Non fece mai l’architetto.  Tra i suoi film si ricordano: Il Bandito, Senza Pietà, Il Mulino del Po, Luci del varietà, Anna , Il Cappotto, La Spiaggia, Venga a pendere il caffè da noi, Oh, Serafina. Nel 1970 fu regista lirico del Maggio Musicale Fiorentino. Per la TV diresse il Colossal di successo Cristoforo Colombo. Lanciò nel mondo dello spettacolo Catherine Spaak, Nastassja Kinski, Barbara De Rossi.

1 commento:

  1. Visioni e divagazioni in poltrona (da Camera Cromatica).

    Secondo film della rassegna, si ricorda il battesimo della cinefilia viestana. Padrini: Alberto Valerio (per poco), Camillo Marchetti per sempre. Grazie!
    Eravamo un paesino, poche sedie nello sterro, immobili per carico umano, stramaggioranza analfabeta, ammagliati tutti. Un lenzuolo teso con immagini in movimento aggregava per la festa insolita. Il cinema somministrava elisir, donando sogni e gioie, rinfrescando la psiche ferita di generazioni martoriate. Molti capolavori sono stati già realizzati.
    Senza più lo stupore dei nostri concittadini scomodamente seduti, dopo quasi settant’anni, con la magia esaurita, in poltrona ci ritroviamo spettatori in aula magna d’intrattenimento, facendo cultura. “Il Bandito” è la pellicola che iniziò il viestano alla scoperta della decima musa. La rivediamo privi del buio di quei tempi tragici, fortunatamente.
    Di quell’oscurità la vicenda melodrammatica del film non illumina granché: la storia convenzionale di un uomo sfortunato in una congiuntura sciagurata.
    Non resta che l’elogio del bianco-nero, estrema sintesi cromatica, raffinatezza ben più viva ed efficace del technicolor narcotizzante. Per trovare un po’ di luce dobbiamo ritagliare sprazzi di paesaggi urbani ancora intrisi di dignità umana (tutti belli gli esterni, la sequenza iniziale con il treno della libertà può essere d’antologia). Altra luminosità la recuperiamo in alcuni primi piani. Emerge, tra i volti, quello di Anna Magnani, maschera incontenibile che non si lascia distrarre dal talento innato.
    Anna Magnani o dell’umanità, nel bene e nel male; bellezza esteriore che vale solo come abbraccio e riflesso di quella interiore.
    Purtroppo l’attrice romana ha lasciato il cinema con poche pellicole memorabili, che mettessero in risalto l’intensità e l’altezza della sua bravura, plasmata da una vitalità rara da ritrovare (ci penseranno alcuni maestri per alcuni capolavori). La sua è la sagoma della bellezza che spunta dietro l’angolo di casa, dal sorriso o dalla sfacciataggine dichiarata, sfrontata; sicura di sé in ogni circostanza, intensa nella gioia e nel dolore; la si ritrova madre, sorella, amante: tutte autentiche, perfetta anche nel malaffare. Oggi si sparano le pose di attrici belle, troppo amanti di se stesse e del proprio talento, ma non basta. La Magnani era una 'donna' (un fiore alla sua luce che strega ancora, da lontano).
    Nazzari dà il volto non ad un bandito ma ad uno sventurato, dal cuore tenero e generoso, in una Italia a pezzi pronta a risollevarsi. Di lì a poco arrivò la generosità dello zio Marshall. Si vedranno altri banditi.

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